Dino Buzzati Traverso nacque il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino, da genitori veneziani: Giulio Cesare Buzzati e Alba Mantovani. Le grandi passioni di Buzzati (la montagna, il disegno, la scrittura) cominciarono a manifestarsi nel 1920. Nel 1924 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Milano. Il 10 luglio 1928 Buzzati inizia a lavorare alla redazione del Corriere della Sera. Molto legato e fedele al grande quotidiano milanese, riuscì a salire diversi livelli acquisendo con il tempo maggior importanza. Nel 1939, Buzzati affidò al suo amico Arturo Brambilla il manoscritto del Deserto dei Tartari. La prima edizione del Deserto dei Tartari apparve presso Rizzoli, a Milano, il 9 giugno, e grazie a quest’ultima acquisì notorietà nel 1940. Nel 1945 la seconda edizione del Deserto dei Tartari rivelò di fatto il nome di Buzzati e segnò l’inizio della sua fama in Italia. Nel 1949 la traduzione francese del Deserto dei Tartari apre a Buzzati le porte del successo internazionale. Nel 1966 pubblica Il colombre, di cui fa parte il ciclo di racconti Viaggio agli inferni del secolo. Nello stesso anno, l’8 dicembre, sposa Almerina Antoniazzi. Il 28 gennaio 1972, Buzzati muore di cancro (Buzzati 2002: 494-497).
Il genere letterario di Buzzati era spesso considerato come “fantastico”, ma secondo lui è difficile ridurre le sue opere a ciò; inoltre non ha scritto dei saggi per definire il suo genere. Trova che ciò che importa nella sua scrittura non è necessariamente il tema, ma soprattutto il modo di scrivere: occorre un reale lavoro sulla lingua per rendere la trama più verosimile e realistica possibile, mentre si racconta una storia che non l’è. Ciò che fa il “fantastico”, è dunque il contrasto tra la forma e il fondo (Lazzarin 2008: 51).
L’arte “buzzatiana” consiste nell’abbinare un lessico cinico o ironico “alla Kafka” (Lazzarin 2002: 107-108) (la forma) con degli eventi fantastici (il fondo) che insieme formano un crescendo, rappresentato da una cadenza narrativa sempre più irregolare e fluttuante, passante dalle lunghe enumerazioni a una frase bruscamente breve, o viceversa. Questa figura di stile conduce al culmine del racconto, dove la catastrofe anticipata dal lettore si profila (Lazzarin 2002: 107-108).
In Viaggio agli inferni del secolo Buzzati si mette in scena come protagonista. Durante i lavori nelle fogne di Milano, un uomo scopre una piccola porta che, si dà il caso, sia la porta che conduce verso gli Inferni. Manterrà il segreto e lo condividerà solo con il suo amico giornalista che non è altro che Buzzati. Deciderà di attraversare questa porta seguendo gli ordini del suo capo. Si ritroverà dunque all’Inferno, immerso in un mondo che è suo, a Milano, dove è ormai prigioniero. Qualcuno lo accoglierà, ovvero la Signora Belzebuth. Il tempo continuerà a scorrere e si renderà conto che tutto sommato questo mondo degli Inferni non è così diverso dal suo, se non che c’è molto più odio, cattiveria, violenza rispetto al suo. Dunque alla fine, Buzzati si rende conto che probabilmente il vero Inferno è il mondo in cui viviamo.
I suoi ultimi due romanzi hanno ricevuto un’accoglienza piuttosto tiepida. Per molti anni, a Buzzati, sono stati rimproverati i suoi pensieri detti poveri, il suo stile e la mancanza di interesse per i grandi dibattiti intellettuali, le sue origini borghesi e il suo mestiere di giornalista. Questo portò ad un giudizio severo: Buzzati, che senza dubbio affascinò l’interesse del pubblico, attratto dalla facilità, non attirò l’attenzione dei lettori più istruiti.
Nel 1966, Buzzati non deve più convincere del suo valore: il successo internazionale della sua opera parla ormai per lui. Ma il dibattito non sarà per questo chiuso, perché si mette in discussione anche lo stile di Buzzati. Hector Bianciotti manifesta qualche reticenza. Non può negare i difetti formali di alcuni testi (Buzzati 2002: 471-472).
Buzzati non era un teorico ma, per quanto riguarda il fantastico, mirava a inquadrare la sua opera in questo genere. Per lui era anche evidente che l’Italia non aveva mai avuto una vera letteratura fantastica rispetto per esempio alla tradizione fantastica inglese, francese, tedesca o russa nel diciannovesimo secolo. (Lazzarin 2008: 50)
L’opera di Buzzati è stata tradotta dall’italiano (Il Colombre) in francese e si intitola Le K. Ma è stata anche tradotta in spagnolo e si intitola El Colombre. Si trova anche tradotto in rumeno con il titolo di Monstrul Colombre.
Nel Viaggio agli inferni del secolo, possiamo trovare diversi temi tipicamente buzzatiani.
In primo luogo, la figura della morte è onnipresente nel corso di questo racconto. Questa non è temuta nell’ universo di Buzzati, ma è vista come una liberazione dalla vita monotona e solitaria a cui deve far fronte l’uomo moderno, che si trova sempre solo davanti ai suoi ostacoli (Borrani 1957: 200-201).
È una visione molto stoica della fuga del tempo, che ha tanto nutrito l’introspezione esistenzialista dell’autore. Qui, Buzzati tratta la morte con ironia, perché gli inferni sono già nel mondo, la società è già, da qualche parte, morta e decaduta a causa del capitalismo vile. Mette questo in evidenza usando un lessico pesante e oscuro:
[…] guardavano lentamente, […] senza nessuna espressione. […] Pallidi, svuotati, castigati e vinti. E più nessuna speranza.
(III: Le diavolesse)
Possiamo anche scoprire le condizioni degli uomini soli, condannati a vivere costantemente con i propri tormenti nel capitolo V: Le solitudini.
Poi, Buzzati sottolinea la natura universale degli inferni, specificando che questi si possono trovare a Milano, come ovunque nel mondo, criticando dunque l’atrocità della società umana in generale:
Questa,Milano?
Certo, Milano. E anche Amburgo, e anche Londra, e anche Amsterdam, Chicago e Tokio nello stesso tempo.
(III: Le diavolesse)
Quindi, l’autore include una dimensione politica prominente, facendo una critica veemente della società capitalista che si preoccupa solamente della produzione, a scapito degli abitanti, manipolati da dirigenti perfidi. Critica anche il ritmo insostenibile e ribollente delle città capitalistiche, trasmettendo questa angoscia ai lettori attraverso una ritmica narrativa traboccante di enumerazioni sempre più rapide e oppressive, da cui il titolo del capitolo IV: Le accelerazioni, in cui ne fa la descrizione.
Secondo lui, il simbolo più flagrante del vizio della società capitalistica, quello che risveglia il peggio nell’uomo, lo rende selvaggio, quasi animale, è l’automobile. Utilizza inoltre delle figure di stile come la ripetizione ironica per dimostrare questo flagello:
Meno male che ho comperato un’automobile […] Per fortuna adesso ho una macchina […] Ho comperato un’automobile, per fortuna, e la situazione è migliorata. Vuol dire moltissimo, qui all’Inferno, l’automobile.
(VII: Belva al volante)
Denuncia anche la perdita della memoria, il passato che diviene obsoleto in una società che vuole sempre produrre di più, e che si preoccupa solo del futuro (Borrani 1957: 200).
Nel racconto, questo rigetto del passato è tradotto dal Entrümpelung, una tradizione in cui la società è “purificata” eliminando i vecchi, che costano alla società, ora che non producono più (VI: L’Entrümpelung).
In effetti, questo racconto si apparenta fortemente alla Divina Commedia di Dante per il tema del viaggio agli inferi, a cui fa riferimento esplicitamente più volte per solleticare i sospetti dei lettori (Ayyildiz 2017: 219):
Niente Virgilio?
(I: Un servizio difficile)
[…] una vecchia edizione della Divina Commedia illustrata dal Doré era aperta là dove si vedono da lontano Dante e Virgilio i quali, tra roccioni sinistri si avviano alla bocca nera dell’abisso.
(II: I segreti della ‘MM’)
Questo passaggio prefigura il viaggio del protagonista, “Buzzati”, che, come Dante, è la proiezione fittizia dell’autore (Ayyildiz 2017: 218). Rispetto all’opera di Dante, Buzzati non ha scritto un racconto in cui il personaggio principale può ancora cambiare e migliorarsi per evitare la dannazione nell’aldilà, ma rappresenta la fatalità della sua società, che è già viziata dal capitalismo e dalla rivoluzione industriale (Ayyildiz 2017: 223). Di più, il paradiso non è una ricompensa dopo la redenzione, ma non esiste più perché annientato dall’ avidità degli uomini (VIII: Il giardino).
In conclusione, Il colombre di Buzzati è più di una semplice raccolta di racconti. Si tratta di una vera e propria svolta nella letteratura fantastica italiana. Il mondo è visto come un diario indecifrabile e enigmatico attraverso gli occhi di Buzzati.
Abbiamo particolarmente amato quest’opera poiché permette un momento di svago e di magia mentre gioca sull’umorismo e l’ironia che permettono di fare un passo indietro verso il mondo a volte doloroso e difficile in cui viviamo.
Riferimenti bibliografici
BUZZATI D., 1966, “Viaggio agli inferni del secolo”, Il Colombre e altri cinquanta racconti, Milano, Mondadori, pp. 381-449.
––, 2002, Le K, traduzione da Jacqueline Remillet, postfazione da F. LIVI, 1992, Paris, Librairie générale française.
AYYILDIZ B., 2017, “Il concetto del viaggio nell’aldilà e “viaggio agli inferni del secolo” di Buzzati”, Trakya University Journal of Faculty of Letters, 7/13, pp. 209-224.
BORRANI CASTIGLIONE P., 1957, “Dino Buzzati”, Italica, 34/4, pp. 195-201.
LAZZARIN S., 2002, “Nani sulle spalle dei Giganti. Buzzati e la grande tradizione del fantastico”, Italianistica: Rivista di letteratura italiana, 31/1, pp. 103-119.
––, 2006, “Modelli struttura del racconto catastrofico-apocalittico in Buzzati”, Italianistica: Rivista di letteratura italiana, 35/1, pp. 105-124.
––, 2008, “Gli scrittori del novecento italiano e la nozione di ‘fantastico’”, Italianistica: Rivista di letteratura italiana, 37/2, p. 49-67.
Immagini
DINO BUZZATI: https://fr.wikipedia.org/wiki/Dino_Buzzati#/media/Fichier:Dino_Buzzati.jpg
Viaggio agli inferni del secolo: https://www.teatro.it/recensioni/viaggio-agli-inferni-del-secolo/per-scoprire-un-nuovo-vedere
Cet article a été rédigé pour la revue ROMA 1/2020 par Céleste Savigny & Sonia Wagner. |